"Una volta scout sempre scout"
Baden Powell (Jemboree gennaio 1937)
Pubblico integralmente quanto inviato dall'amico Domenico, perchè oltre a riportare alla memoria collettiva, la drammatica storia di un grande scout avolese, pone nella giusta considerazione l'insegnamento di B.P. sopra citato:
Ciao Salvo Cancemi.
VITTORIO PUZZO
Sempre nella mente e nel cuore
Quella che sto per raccontare è la storia di un ragazzo semplice
ma di spiccato carattere, vivace e turbolento, frenetico nelle sue azioni
e pieno di gioia di vivere, di conoscere, di sapere. Ma andando per gradi,
dobbiamo fare un tuffo nel passato e giungere ai giorni della nostra infanzia
e come ci siamo conosciuti, frequentati, accomunando le stesse passioni per
il gioco, per l'avventura, per il piacere della scoperta con l'orgoglio di
dire: questo l'ho fatto io.
Nei giorni dell'infanzia Vittorio Puzzo frequentava il collegio Santa Maria
di Noto, allora direttore del collegio, Padre Pietro, un uomo che sembrava
un colosso, alto, robusto, di un aspetto possente e con una voce assai decisa;
però anche lui aveva subito una ingiustizia nella prima infanzia. Lui
del nord, di una famiglia di possidenti, ancora fanciullo, ai primi moti della
I guerra mondiale. Un giorno, mentre insieme a suo padre trasportavano il
raccolto, forse frumento, alla loro tenuta, per strada furono assaliti dai
briganti a mano armata perché volevano derubarli del loro bene; nella
colluttazione che ne seguì i cavalli si imbizzarrirono ed il piccolo
Pietro cadde dal carro finendo sotto le sue ruote. Una gamba subì una
grave frattura che poi gli venne amputata per salvargli la vita. Perciò
Padre Pietro era un rettore del collegio che si reggeva su di una gamba di
legno.
Ma torniamo a Vittorio e come ebbi modo di conoscerlo. Lui era orfano di Padre,
morto in guerra quando egli aveva appena tre anni e per questo motivo sua
madre, la signora Cianchino, per sbarcare il lunario, dovette andare a lavorare
(un lavoro dignitoso per una vedova di guerra che era madre di diversi figli,
due femmine già adulte e tre maschi). Vito era il più piccolo.
Lei lavorava come guardiana e portantina all'ospedale Giuseppe di Maria istanza
allora in piazza F. Crispi, con l'ausilio di assistenza agli anziani. Sotto
la guida di Padre Pietro Vito imparò a leggere, a scrivere e a sviluppare
le sue attitudini, specie nella lavorazione del legno, come apprendista ebanista,
al fine di avere un giorno un mestiere che gli desse da vivere.
A quei tempi mio padre aveva un nascente pastificio ed era pure fornitore
di pasta al collegio S. Maria. Un giorno mio padre affida a mio fratello e
a me il compito di andare al collegio (per inteso di istanza a Noto) con le
biciclette per portare diverse qualità di pasta. Di buon mattino siamo
alle porte; quando entrammo aspettammo in un androne all'aperto nel quale
giocavano a palla diversi ragazzi della mia stessa età; chi stava in
porta era proprio Vittorio - età tra gli undici, dodici anni, della
mia stessa altezza, più magro, bruno di carnagione, capelli neri un
po' ricci, sguardo vivace e malizioso. Poi noi, fatto le consegne, prendemmo
la via del ritorno. Questa fu la prima volta che io vidi Vittorio senza però
dargli riconoscenza.
Ora io debbo premettere che il quartiere dove sono nato è quello denominato
dei Cappuccini per via delle suore dai larghi cappelli, suore vincenzine devote
a S. Vincenzo de Paoli, adiacenti all'ospedale G. Di Maria. Il grande spiazzale,
con autorizzazione del Comune, veniva usato come Campo Sportivo, nel quale
si disputavano le partite di calcio di promozione, nei restanti giorni invece
veniva utilizzato da noi ragazzi del quartiere per i nostri giochi, ma soprattutto
il gioco del pallone. Non mi dilungo tanto nel descrivere quel che accadeva
in questa piazza e come, al grido "Savoia", partiva una grandinata
di pietre contro i prepotenti per cacciarli via ed altre cose incredibili
che è meglio ovviare.
Per strano destino la madre di Vito venne ad abitare nelle adiacenze alla
piazza, nella via Colombo, ma per breve tempo! Vittorio, che era in quei giorni
venuto a casa per stare per breve tempo con la mamma, che ormai abitava sola,
già gli mostrava una drastica intolleranza di continuare a restare
in collegio, voleva essere più libero e desiderava farsi degli amici
per poter giocare con loro e poi poter andare in una scuola pubblica. Alla
madre tale ragionamento non dispiacque, anzi gli consigliò di fare
amicizia con un ragazzo che nella piazza dei cappuccini era tenuto in conto
e che era figlio di persona di sua conoscenza. Quel ragazzo ero proprio io!
Un giorno Vittorio entrò in piazza e cominciò a cercare tra
quelli che giocavano a pallone il ragazzo indicato; cerca di qua e cerca di
là, si avvicina proprio a me, allora quindicenne, e mi chiede: "Mi
sai dire se qui tra di voi ci sta Salvatore (il mio nome) perché gli
vorrei parlare!". Io gli risposi: "Si, c'é, è tra
di noi che sta giocando, gioca anche tu e vedi che lo scoprirai da te!".
Vito prese a giocare a pallone, ma restò nel dubbio circa la persona
che egli sperava d'incontrare. Ma che cosa avvenne sul tardi, nel pomeriggio
che escono dall'asilo i bimbi che le suore avevano mandato per le loro case;
una di queste uscendo dal portone si avvia verso casa passando per la piazza
(bimba di circa 5 anni) con in mano il suo grazioso panierino ed il grembiule
addosso. Contemporaneamente Vito, non accorgendosi della bimba, sferra una
pedata al pallone che come bolide va a colpire la bimba in faccia, la quale
sbatte con la testa per terra e sviene. Tutti fummo attorno alla bambina che
non dava nessun segno di ripresa, allora io le presi le piccole braccia e
a forza presi a rotearli fino a quando la feci rinvenire (cosa che in un'altra
circostanza avevo visto fare a mio padre con un esito abbastanza positivo).
Quando la bimba rinvenne la alzai all'impiedi, ella ci guardò per un
po' silenziosa e certo spaventata, anche noi la guardammo per carpire un segno
positivo di ritorno alla normalità; ad un tratto ella si mette a piangere
invocando la mamma, la rabbonimmo e poi venne accompagnata da qualcuno fino
a casa.
Tutto era finito bene! Ma Vito accostandosi a me disse: "Grazie, non
ho bisogno di cercare ancora Salvatore Maiolino, ora sono più che certo
che quello che io cerco è proprio davanti a me! Io voglio fare amicizia
con te, di quella vera, di quella cui si rimane inseparabili per sempre".
E fu così che facemmo amicizia e che diventammo veramente come fratelli;
da quel giorno in poi facevamo ogni cosa insieme... gioco, allenamenti, studio...
E, dato che io frequentavo l'istituto d'Arte, anche lui volle iscriversi,
così potevamo viaggiare insieme e studiare insieme. Cosa che avvenne
alla seguente apertura delle scuole. Io ero già nel ramo della pittura,
mentre lui scelse quello della scultura in legno. Poi quando ebbi compiuto
sedici anni io mi iscrissi nel gruppo Scout Avola I di istanza alla parrocchia
del Sacro Cuore sotto la guida del Caporiparto Calvo Giuseppe e assistente
scout e titolare della parrocchia Padre Antonio Pozzo. Ma con la nostra venuta
di li a qualche anno avvennero degli sconvolgimenti. Io, con il consenso del
parroco, diventai il nuovo Caporiparto e Vittorio mio collaboratore; con ciò
iniziò una fase nuova della nostra esistenza, dentro e fuori dell'ambito
scout.
Il riparto divenne sempre più numeroso, tanto
che il parroco ci concesse le stanze del famoso "cantiere", poi
negli anni a venire divenuto sede del liceo Scientifico. Ma in quei giorni
la nostra sede era una piccola stanzetta sita dietro la chiesa, a ridosso
della sacrestia e con la faccia rivolta al cantiere. Le squadriglie erano
fino a quel momento soltanto due: Squadriglia Pantere e Squadriglia Elefanti.
Intanto giunge nella parrocchia il nuovo vice parroco Padre Vizzini il quale
fin dall'inizio si mostrò fin troppo austero e burbero. Tutto sommato
rinsaldammo i legami e potemmo iniziare un proficuo programma di attività:
preparazione alle promesse, fuoco di bivacco, escursioni, eventuale campeggio.
Una delle prime escursioni avvenne alla sorgente Miranda con pernottamento.
Il parroco aveva dimenticato di portare la pietra Sacra che doveva servire
per la S. Messa; Vittorio Puzzo si offrì spontaneamente di andare in
città, alla parrocchia, per avere la Pietra e poi ritornare di nuovo
al posto convenuto e tutto questo a piedi. Dato che il tempo prese a peggiorare
verso il tramonto fecimo ritorno a casa.
Alcune cose però li facevamo di nostra iniziativa fuori dell'ambito
dello scoutismo! Appassionati come eravamo di archeologia, iniziammo un programma
di ricerche archeologiche con l'orgoglio di rendere un servizio al paese e
fare onore allo scoutismo. Esplorammo buona parte dei luoghi rimarchevoli
del territorio ottenendo modesti risultati. La grotta bizantina, nei pressi
delle Case Romano, scavata nella roccia calcarea contiene al centro quattro
pilastrini a mo' di baldacchino e nella parte centrale di esso, in basso sembra
accennare una tomba. Monte d'Oro, un po' più in alto della Rocciola
una antichissima ara per il culto a dèi pagani (con l'avvento del Cristianesimo,
perdendo ogni importanza, venne da ignoti spaccata e buttata da parte). Un'altra
ara antichissima si trova a diverse centinaia di metri in linea d'aria nella
collinetta di Tangi, di massicce proporzioni, in parte fatta saltare con la
dinamite da ignoti che credevano forse che ci fosse sotto la "truvatura"
(tesoro nascosto). Essa venne ricavata dalla roccia ed è orientata
secondo i punti cardinali. Via via esplorammo tutte le colline che fanno corona
ad Avola e che costituiscono la catena dei Monti Iblei.
Poi pensammo di fare le cose ancora più in grande: dei campi di esplorazione
e di recupero al Castello della "Mola" nel dicembre del 1958 e gennaio
1959 (Campo invernale - Cozzo Mola - dal 28 dicembre 1958 al 2 gennaio 1959),
per cinque giorni e con il rigore dell'inverno. In questa occasione siamo
tre: io, Vitt. Puzzo e Artale Armando anch'egli appassionato dell'avventura.
I lavori di ricerca si protrassero per tutto il tempo ottenendo modesti risultati.
Come ad esempio il ritrovamento di un pesetto di piombo o forse pendente da
telaio di forma ovale con sopra una scritta: NimNia. Finito questo campo ne
progettammo un altro in un luogo molto impervio e rovinoso: I Deri di Cavagrande,
sempre noi tre divenuti inseparabili.
Campo Autunnale - dal 30 settembre al 2 ottobre 1958. Dovendo rispettare un
ordine cronologico e le date di quando e come sono avvenute certe attività
in cui Vittorio fosse stato presente, vivo e attivo nelle sue azioni e con
lui pure Artale Armando e me compreso; faccio presente il campo autunnale
eseguito alle grotte denominate "I tri pirati" o per meglio dire
"I tri passi cuntati", come veniva pronunciato un tempo (una parte
di quelle grotte del complesso dei Deri di Cava Grande). Partiti che fummo
da Avola a piedi ci avviammo per la cavagrande anche se la partenza ci venne
ostacolata dalla pioggia. Giunti che fummo a Cavagrande ci avviammo per il
sentiero di mezza costa fino all'inizio del tunnel - un canale sotterraneo
scavato in tempi antichissimi forse dai Siculi? - che in salita conduce alla
grande grotta. E fu una faticaccia tenendo conto che portammo con noi zaini
pesanti, tenda grande, attrezzature e viveri. Piantammo la tenda al campo
base formato dalla grande grotta che poteva accogliere un intero gruppo. Nei
giorni che seguirono rilevammo e fotografammo le cose che ci parvero abbastanza
importanti: una scritta nella parete vicina a delle tombicine: ISOU POTe TIl,
la stanza particolarissima di un sifone d'acqua scavata nella roccia e con
una scala anch'essa ricavata nel calcare che scendendo conduce all'acqua sorgiva
nei pressi della scritta, la grotta naturale con un androne d'ingresso scavato
da mano d'uomo (percorrendola per circa 40 metri si giunge ad un sifone di
raccolta delle acque sorgive che fuoriescono a mo' di ruscello disperdendosi
tra le pietre - per percorrerla bisogna attraversare due strettoie, c'è
molta creta, l'acqua discende gorgogliante verso l'esterno). Finiti i giorni
del campo fecimo ritorno verso casa, soddisfatti delle scoperte fatte. Ma
si trattava solo di una parte di tutto il complesso dei Deri.
San Giorgio Regionale - località Petracca - Aprile 1959. In questo
giorno, quello del 23 aprile, si festeggia il Santo protettore con un raduno
di Scout provenienti da tutte le province Siciliane. Punto convenuto: la località
di Petracca. In precedenza avevamo avuto l'incarico di realizzare alcune installazioni
sul posto: l'altare da campo, l'issa bandiera (mastodontica costruzione a
torretta, dalla quale s'alzava il pennone)... Una nota molto favorevole che
elogia la prestanza gioviale di Vittorio Puzzo fu quando eravamo tutti pronti
per eseguire l'issa bandiera; la corda si era aggrovigliata per cui rimanemmo
a metà cerimonia fermi senza possibilità di proseguire. Diverse
centinaia di Scout con gli occhi puntati al pennone in attesa che avvenisse
qualcosa!... quando all'improvviso esce dalle file Vittorio Puzzo anche lui
in divisa scout e prende a salire per la torretta fino a raggiungere l'asta
centrale, arrampicandosi su di essa riesce a raggiungere la bandiera (sbrogliandola)
togliendo in questo modo tutti dall'increscioso impiccio. Vito venne applaudito
e dai capi elogiato. Poi ci furono quelli che lo vollero conoscere meglio,
avere il suo recapito, potersi scrivere fraternamente, prendendo impegno di
rivedersi e rivederci al prossimo Campo Regionale Siculo nella bella località
di Petracca. A questo appuntamento Vittorio Puzzo non poteva mancare e nemmeno
io in qualità di Caporiparto. Era un avvenimento tanto sognato, tanto
atteso che coronava un anno di lavoro e di preparazione in sede.
IV Campo Regionale Siculo - Petracca 10-22 luglio 1959. Perchè potesse
avere svolgimento questo campo era necessario effettuare un pre-campo di adulti
(Clan di Noto) del quale facevano parte Vittorio Puzzo, Artale Armando insieme
ai netini Giuseppe Inca e D'Agata Micale. Partenza giorno 7-7-1959 per iniziare
un programma di installazioni in favore di tutti gli scout in arrivo, nonchè
quelli da campo come il ponte per attraversare il fiume, l'issa bandiera,
l'altare da campo, la cucina del Clan con tutti i suoi servizi, le latrine
per l'igiene, l'acqua potabile... Vittorio Puzzo fu instancabile lavoratore
e si mise come "rover" a disposizione di tutti i reparti che lo
chiamavano e avevano bisogno di aiuto, per questo venne chiamato con l'appellativo
"l'amico di tutti". Le circostanze furono tante in cui egli si distinse
volenteroso e pronto. Specie nei primi giorni del campo, quando si verificarono
una serie di temporali estivi creando enormi disagi a tutti ed egli senza
fare distinzione di sorta o campanilismi aiutò coloro che si trovarono
in serie difficoltà (basta pensare all'acqua che di volta in volta
allagava le tende per l'eccessività della pioggia). Ora lo vedevate
nel campo degli scout del Messina, ora quelli di Trapani o del Catania senza
fare distinzione; diceva che allo stesso modo erano tutti fratelli. Un giorno
una cara persona a noi molto vicina nel dialogare con lui gli disse: non avete
paura di andare per le montagne e le cave e rimanere fuori? La notte possono
succedere tante cose brutte, se succederà qualche incidente chi verrà
poi a salvarvi? Ed egli rispose: "Noi siamo preparati e sicuri del fatto
nostro... e se mi succedesse qualcosa proprio a me, le rispondo subito: non
c'è cosa più bella che morire da esploratore con indosso la
divisa e sul cuore un giglio". E la cara persona esclamò: "che
non sia mai una cosa simile!". Forse i sani principi acquisiti al collegio
l'avevano indotto a pensarla così, oppure l'esuberanza, l'indole propria
che lo portava a credere in quello che faceva fino a questi eccessi. Poi il
campo estivo finì nel migliore dei modi e Vittorio lasciò una
traccia indelebile nel cuore dei fratelli scout per l'abnegazione e spirito
di altruismo che egli aveva avuto nei riguardi di tutti.
Per questa buona riuscita ci volevamo premiare con l'intraprendere un nuovo
cammino: esplorare la cavagrande per il tratto che va da Petracca fino a Scala
Croce (l'odierno belvedere di cavagrande. Attraversando tutto il fondo cava
seguendo il corso del fiume e annotare nel nostro taccuino quanto andavamo
scoprendo! Si trattava di effettuare un campo mobile per la durata di tre
giorni. Partimmo alle ore 15 del 22 luglio 1959 da Petracca dopo esserci accomiatati
con il caposcout provinciale Carmelo Russo il quale ci raccomanda prudenza
e ci ringrazia per tutto l'aiuto che gli abbiamo dato, ci abbraccia uno per
uno dicendoci ancora grazie. Commossi ci allontaniamo io, Vittorio Puzzo e
Artale Armando per questa nuova avventura, non vi dico quanto erano pesanti
gli zaini che portavamo; giunti in collina diamo un ultimo sguardo alla valle
di Petracca e par che vedevamo ancora i fratelli scout che giocavano, che
cantavano, che pregavano, tutto un sogno. L'unica testimonianza del nostro
passaggio è la croce che si vedeva in alto alla rupe lasciata da tutto
il nostro gruppo durante una Via Crucis, poi silenzio, interrotto solo dal
canto degli uccelli. Volgemmo le spalle e proseguimmo. Per la prima volta
scopriamo la valle di Rossena, che diverrà poi la sede dei nostri futuri
Campi Iblei organizzati da me ogni due anni (dal 1966 al 1972) che richiamava
scout e rparti di quasi tutta la provincia. Visitammo la grotta di San Giorgio
con i suoi affreschi rovinati.
II tappa: la Prisa. Ci volle non poca fatica ad attraversare il bosco di felci
e di rovi. Ma quando giungemmo all'imbrunire fummo ospiti del guardiano del
luogo, il sig. Rametta e moglie; mangiammo insieme a loro e poi chiacchierammo
per qualche mezzoretta. Egli ci narrò la disavventura di entrambi che
ebbero una certa annata, quando l'alluvione (forse quella del 1951) li aveva
sommersi e come riuscirono a salvarsi in tempo, prima che tutto l'edificio
venisse scardinato e distrutto. Vito aveva con se delle fotografie e li mostrò
al signor Rametta, con entusiasmo commentò dicendo: "vede questa
fotografia illustra la grotta dei briganti e questo sono io in primo piano...
e questa ricorda il giorno della mia promessa e quest'altra e poi quest'altra....
Ma ci prese il sonno!...
Giorno 24 Luglio. Dalla Prisa scendiamo per cavagrande verso la scala croce,
qui le colline si intersecano e si alternano e il fiume Caciparis forma dei
meandri serpentiformi; poi quando fummo in vista della costa di Maruzza (le
grotte dei Deri) pensammo di essere vicini alla meta. La nostra ultima tappa
si concludeva con un giro esplorativo per quelle grotte e segnare sul taccuino
di marcia le nostre osservazioni, per un eventuale futuro Campo Autunnale
a scopo archeologico. Ci localizzammo in un punto determinato tra le grotte
del sentiero e la sorgente. Armando aveva il compito di cucinare un po' di
pastina mentre io e Vito dovevamo fare un giretto tra le grotte di sopra,
al ritorno avremmo cenato, riposato e poi via verso casa. Ma le cose non andarono
precisamente così, in brevissimo tempo tutto si trasformò in
tragedia. Dolore e disperazione distrussero la nostra pace e le nostre speranze.
Proprio quando avevamo completato la nostra ricognizione e ritornati incolumi
verso la base, una massa di rovi ci impediva il passaggio per raggiungere
il sentiero; che fare? La soluzione migliore fu quella di risalire per un
po' le rocce per ovviare i rovi e poi scendere sul sentiero con un salto.
Io feci tutto questo per primo e mi riuscì bene, poi dissi a Vittorio
"fai tu lo stesso e possiamo chiudere in bellezza la giornata";
mi avviai verso la sorgente, egli fece lo stesso ma non in modo controllato,
perchè scivolando all'improvviso cadde su degli alpistoch che erano
lì sotto appoggiati, si perforò tra l'addome e l'inguine, col
suo stesso peso il bastone era andato in profondità. Vito stramazzò
in un grido di dolore, aveva gli intestini perforati. Senza perdere altro
tempo, mandai Armando ad Avola in cerca di aiuto, il quale poveretto prese
la via per Avola a piedi e senza che nessuno gli potesse dare aiuto. Mentre
io stetti con Vito aiutandolo come potevo tamponando con cotone la ferita.
Poi nell'attesa dei soccorsi piantai la canadese dentro la grotta lì
vicino per ripararlo dal freddo della notte; non potevamo fare nient'altro
che attendere e pregare.
Egli si doleva e nella smania piangeva e diceva: "Aiutatemi! Portatemi
a casa, sento freddo. Prima di morire voglio vedere mia madre!". Gli
misi delle bende fredde sullo stomaco, avrebbero fermato l'emorragia interna;
mentre erano passati delle ore senza che ce ne avvedessimo. Si fece notte
fonda e ancora non arrivava nessuno. Vito si spazientiva e mi chiedeva: "Perchè
non viene nessuno, mi hanno abbandonato!". Poi con voce di chi si rassegna
disse: "Per me è finita, che ho fatto Dio mio per meritarmi tanto?
Perché tanta sventura!? Ho freddo, molto freddo, coprimi!". Presi
dallo zaino una coperta e gliela misi addosso. "Va bene così?"
gli dissi, "Si, grazie" rispose. Stavo per un attimo uscendo dalla
tenda ma egli: "Dove vai? Non mi lasciare solo, ho paura". La sua
mano cercò la mia e con le lacrime agli occhi replicò: "Mi
sento di morire, aiutami! Perchè questa sventura?". Che cosa potevo
fare io che dovevo nascondere le lacrime per non sconfortarlo ancor di più!?
Sembrava delirare; diceva lo so che per me è finita! mio padre, che
io non conobbi mai, mi chiama, lo sento! Ed io a lui: "Vito non parlare,
riposa, non fare così, io ti salverò a qualunque costo"...
e nel dir questo trattenevo i singhiozzi. Per un po' Vito socchiuse gli occhi
e ammutolì, forse fu vinto dal sonno e dal dolore. Di tanto in tanto
guardavo fuori la tenda per vedere se in quell'oscurità vedessi delle
luci e sentissi delle voci, ma niente, non si vedeva nessuno, solo si udivano
i rumori notturni. Poi mi accostai silenziosamente a lui ma egli riprese a
dire: "Mia madre quando lo saprà morirà dal dolore".
"Non temerà" gli rispondevo "tu vivrai! Stanne certo!".
Il poveretto mi disse: "Vorrei che fosse vero! Ma io lo so che è
la fine!". Poi vedendo che non aveva addosso la divisa, esclamò:
"la mia divisa! Dov'è la mia divisa? Non mi voglio separare da
essa!". Gliela misi addosso, ne baciò il giglio e poi con strana
espressione di chi è consapevole del proprio destino mi disse: "Se
io dovessi morire, dalla alla mia mamma; avrei voluto vederla, baciarla...
ma se io non potrò, lo farai tu per me! Ah se potessi rivederla, solo
questo vorrei e nulla più!"
Poi udimmo delle voci e io gli dissi: "Ascolta Vito, Senti? La salvezza
è vicina, sono loro, ci sarà il dottore, egli ti salverà!".
Si fece mezzanotte quando emersero dall'oscurità facce amiche: Paolo
Florio, Cannarella Salvatore, Franco Accolla, accompagnati da Padre Vizzini
e Armando che più non si reggeva in piedi. Io rimasi di stucco e domandai
al vice parroco "Dove sono gli aiuti e il dottore?" ed egli "Siamo
soltanto noi! Abbiamo le corde e i paletti per la barella, lo porteremo sù!".
Non mi dilungo con dei commenti per raccontare quello che ci dicemmo e come
si era arrivati a tanta leggerezza perchè secondo me ci volevano le
forze dell'ordine oppure i pompieri. Approntammo la barella imbottita da una
coperta, poi vi mettemmo sopra Vito anche lui coperto per non fargli sentire
freddo e, data la strettezza del sentiero, io mi misi da solo avanti e due
di dietro alternandosi nel trasporto. L'alzammo da terra e cominciò
per tutti un calvario senza fine, perchè non si andava per i tornanti
della scala croce, bensì per l'altro sentiero denominato la scala dei
Porci di diversi chilometri più giù oltre la direttiva dei laghetti!
Immaginarsi lo stress, la stanchezza fino all'esaurimento. Armando, che di
stanchezza ne aveva tanta reggeva un lume e ci faceva strada e noi passo passo
andavamo dietro a lui che di tanto in tanto vacillava o incespicava... ma
non ci fu sosta per nessuno, fino a che giungemmo lassù dove ci aspettava
il conducente della macchina.
Le peripezie non finirono lì. Avvennero in contemporaneità tanti
fatterelli che ci sembrarono ostacoli operati dal demonio. Ma superate tutte
le traversie Vittorio venne subito operato all'ospedale Trigona di Noto e
passò giorni tra la vita e la morte assistito dalla mamma e dall'affetto
degli amici che lo venivano a visitare. I medici avevano dato buone speranze
e dicevano che aveva la fibra assai forte ed era desideroso di vivere e di
guarire. Giorno 26 luglio, mi reco all'ospedale Trigona di Noto, con me ci
sono pure gli scout Artale, Cannarella, Ventura, Ettore, Padre Vizzini e il
Commissario degli scout Vincenzo Cassibba con i suoi Rovers. Vito è
disteso sul suo lettino ed in testa ha una borsa con ghiaccio. Ci guarda e
ci fa segno di sederci. Poi la mamma di lui, che lo assisteva, ci racconta
dell'operazione e delle buone probabilità di cavarsela. Poi io da solo
venivo a trovarlo ogni giorno ed egli gradiva tanto la mia visita. Diceva
che si sentiva molto leglio quando io gli parlavo. Giorno 31 luglio io vidi
Vittorio per l'ultima volta, nei giorni precedenti era peggiorata a causa
di continue emorragie, per un'arteria che non era riuscita a risanarsi; le
molte trasfusioni lo tennero in vita ed egli lottava tanto per restare vivo.
Io lo trovai a letto molto deperito. Mi riconobbe a stento e mi disse: "Non
m'importa più di niente, io so che non uscirò di qui! Non vedrò
più i miei monti! Chiamatemi un sacerdote, voglio solamente confessarmi,
farmi la comunione e ricevere per l'ultima volta l'estrema unzione".
All'alba del 1° agosto 1959 egli cessò di vivere. Era nato il 5-12-1940.
Canto
per Vito Era un bel giovane Scout grande d'azioni di cuor i suoi aggettivi eran cavalleria e onor. In tre noi eravamo Iddio su noi vegliava e la natura aperta tutto ci rallegrava. Mirava la natura lodava il Creatore ma cadde dall'altura con grido di dolore. Gli detti la divisa lui la strinse al petto poi baciò il giglio in segno di rispetto. Ma pianse amaramente nel cuor la madre sua baci lei dolcemente come la mamma tua. Ma prima di morire Iddio lo premiò egli la mamma vide e un bacio le donò (Maio) |
In seguito, e precisamente nel 1969 a perenne ricordo di ciò che avvenne in quel fatidico 24-7-1959 che causò la morte di Vittorio Puzzo, il gruppo Scout Avola II in ricordo e rinnovazione della memoria pose una lapide per ricordarlo alle generazioni scout future.
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Scrive un amico di Vito Il mio nome é
Salvatore Cannarella Ciao
Salvo Cancemi; 09/04/2007 |
Ciao Paolo
Ciao Paolo, è proprio vero una volta scout sempre
scout ......
Tu lo sei sempre stato scout.... scout per tutta la vita, non posso dimenticare
quando sei venuto a trovarci
per il Decennale del Gruppo, nei tuoi occhi si vedeva ancora il sincero entusismo
di chi non ha mai smesso di vivere
la propria vita credendo in quei valori, di fratellanza e lealtà, che
lo scoutismo ti ha per sempre lasciato.
Buona Strada
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L'albo dei ricordi
ALCUNE
FOTO STORICHE INVIATE DAL NOSTRO AMICO SALVATORE CANNARELLA |
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